giovedì 7 agosto 2014

L'uomo e la bestia: raffronti e confronti.

Quanti di noi, nel corso dell'esistenza, non hanno mai provato affezione nei confronti di una bestia? Prima o poi, soprattutto in tenera età, un meticcio dagli occhi dolci ammalierà il nostro animo, oppure saranno le fusa di un certosino a farci crogiolare nella beatitudine e nella dolcezza. Che dire di tutto ciò? Atteggiamento sbagliato e deleterio, se non preceduto da opportune precauzioni razionali. Ragioniamo insieme.

Il semplice pensiero di dedicare anima, vita e corpo alle cure di una qualsivoglia bestia è una madornale abnegazione della natura umana: già è riprovevole il dedicare anima e corpo al prossimo (come ho avuto modo di spiegare nell'intervento rubricato "Ama il prossimo tuo meno di te stesso"), ma ancora più biasimevole è dedicarsi ad una bestia.
Pur essendo creature dotate di animo e di ragione (seppur circoscritti ed esplicati in base alle loro caratteristiche naturali) non sarebbero mai in grado di ricambiare quanto viene loro dato, e cosa fanno allora? Si adattano allo status quo limitandosi a dimostrazioni di sottomissione e, talvolta, di utilitarismo: il cane difenderà il vostro territorio spacciandolo per proprio, il gatto vi farà le fusa per ricordarvi di dargli da mangiare pur essendo in grado di procurarselo da solo, il canarino gorgheggerà o per reclamare cibo o per stordirvi i timpani e convincervi a liberarlo.
Nulla di sbagliato in tutto ciò: anzi, è perfettamente conforme alla loro ed alla nostra Natura. L'errore sorge nel momento in cui i mugolii di un cucciolo vi inteneriscono e vi inibiscono il raziocinio, facendovi pensare esclusivamente al bene della bestia. Veramente basta così poco per far cedere il vostro animo? Se cedete con un uggiolio, di fronte alle urla monsoniche della vita vi annichilirete?

È giusto, talvolta, considerare le bestie come degli esseri superiori all'uomo, giacché hanno conservato l'istinto naturale che l'essere umano ha sostituito con l'etica, la morale e la superstizione: ma mai al mondo costoro debbono essere considerate il fine del nostro agire, perché in quel momento noi ci ridurremo a loro schiavi, inibendo le infinitesimali possibilità di azione offerteci dalla Natura al momento della Creazione. Si creerebbe un circolo di interdipendenza foriero di inutili sofferenze e menzogne. Esse sono un mezzo di cui servirci, uno dei tanti utensili messi a nostra disposizione.
Dove e quando sorge la sofferenza? Nel momento della morte della bestia. Spesso l'uomo non rammenta che, salvi i casi di morte non naturale, la vita delle comuni bestie domestiche è ben inferiore al ciclo di vita umano: i cani di piccola taglia arrivano raramente poco oltre i 20 anni, mentre i cani di grossa taglia non arrivano ai 15; il gatto vive, in media, all'incirca 15 anni; il coniglio non arriva a compiere due lustri, il criceto neanche un lustro.
Orsù, ditemi: secondo quale logica dovremmo affezionarci oltremisura ad un qualcosa che perirà prima di noi? Non ci sarebbero risparmiati patemi ed inutili piagnistei se rammentassimo questa non trascurabile statistica?

Che fare, dunque? Come e quanto "donarsi" al nostro affettuoso cagnolino? Con le dovute accortezze, potreste persino donarvi in toto alla bestia. E quali potrebbero essere alcune delle succitate accortezze?
Innanzitutto, qualunque cosa possa accadervi e qualunque cosa vi possa ferire o turbare, usare la bestia come fosse un Muro del Pianto è fallace ed inconcludente. A che pro comunicare le nostre debolezze ad un essere che non è in grado di fare altro se non chiedere attenzioni e sostentamento? Certamente è meglio sfogarsi con un animale che rischiare di confidarsi con un altro essere umano ed essere poi pugnalati alle spalle (in tal caso, è opportuno scegliere saggiamente con chi condividere le proprie debolezze), ma in ogni cosa ci vuole la giusta misura.
Proseguendo, non dimenticate quanto già dichiarato poc'anzi: l'affezionarsi ad un qualcosa (una qualunque cosa, anche inanimata) che non ci sopravviverà è solo una fonte di sofferenza, e piuttosto che aggiungere sofferenze a quante ce ne potrebbero capitare in futuro, è opportuno predisporre un'esistenza esposta il meno possibile alle sofferenze.
Infine, e qui concludo, è opportuno rammentare anche quanto dichiarato in un precedente intervento (rubricato "Gli animali e le bestie"): la bestia domestica resta un mezzo, un nostro bene, un accidente sottoposto al nostro arbitrio; invertire la situazione ci renderebbe inferiori persino alle bestie, perché avremo perso l'esercizio della volontà, il dono più grande e potente che mai avremo modo di avere.

A. G.