venerdì 1 novembre 2013

Ama il prossimo tuo meno di te stesso.

Anche un flebile sospiro può essere musica per le nostre orecchie.
Il silenzio glaciale delle notti più oscure è l'ambiguo terrore di essere totalmente soli ovvero di essere circondati da innumerevoli entità che cospirano silentemente a danno della nostra persona e dei nostri progetti.
L'essere umano è stato posto dalla Natura non semplicemente come vertice intellettualmente intangibile, ma come primus inter pares con l'essere umano stesso; senza alcun altro essere intelligente ed intellegibile con cui interagire, il fine egoistico (insito non solo nell'uomo ma in tutti gli esseri in possesso tanto di volontà quanto di potenza) non sarebbe nemmeno qualificabile come fine, giacché sorgerebbe spontaneo il quesito "in che modo posso far emergere il mio ego senza nessuno a cui rivolgerlo?" Avete modo di concepire dunque l'altra faccia dell'aurea medaglia dell'egoismo: esso è volto a porre il nostro utile al di sopra di tutto, ma senza questo "tutto" nemmeno noi avremmo modo di qualificare il nostro egoismo.
Non è arduo pervenire a questo assunto: immaginiamo di trovarci in un mondo di cui ciascuno di noi sia l'unico essere (è d'uopo precisare che con la nozione "essere" sono da indicarsi esclusivamente gli esseri umani, se annoverassimo in questa categoria le bestie, il ragionamento non avrebbe seguito poiché è necessario il simultaneo possesso delle capacità intellettive ed intelleggibili testè citate, caratteristica propria del genere umano) esistente nel suddetto spazio. Dunque nulla potrebbe vietarci di agire in qualsivoglia maniera, senza preoccuparci di alcun rimprovero e di alcun biasimo di chicchessia, perseguendo senza ostacolo alcuno i propri interessi. Ma è proprio in questa deserta utopia che non sorgerà mai nella nostra mente l'inciso "sono una persona egoista", perché in questo mondo piatto e flagellato dai nostri capricci non vi è alcun modo di constatare il nostro egoismo proprio perché non ci sono altri esseri con cui confrontarci. Sarà sufficiente introdurre nel nostro sistema anche uno solo di essi perché l'inciso sorga spontaneo in ragione del medesimo fine perseguito ed in ragione dell'interazione con il prossimo.
Chi avrebbe mai detto che il prossimo, che per natura siamo propensi a porre ad un livello inferiore rispetto a tutto ciò che, anche infimamente, possa riguardarci, si sarebbe rivelato anche lui stesso utile al soddisfacimento dei nostri interessi?

A. G.

martedì 8 ottobre 2013

L'astuzia dell'accattonaggio.

Li vediamo camminare per le strade, seduti sui marciapiedi, nei corridoi dei treni a distribuire bigliettini ricolmi di preghiere e di errori ortografici, coi loro abiti consumati e con lo stesso viso contrito in cerca di un benché minimo segno di considerazione.
Ecco la classe dei mendicanti, dei cosiddetti "barboni", i dediti all'accattonaggio ed all'elemosina. Ma chi sono davvero costoro? Nulla di che, solo la classe di persone più furbe sulla faccia della Terra, coloro che sanno buggerare il prossimo a livelli stratosferici ed umiliarlo al di sopra di ogni immaginazione. Seguitemi e capirete perché.
L'ennesimo, patetico insegnamento inculcatoci dalle Sacre Scritture è la solidarietà, a donare agli altri il proprio superfluo, ed essere grati agli occhi del bisognoso e meritevoli della vita eterna agli occhi di Dio; e qual'è la realtà invece? Il "bisognoso" ride della nostra stupidità, e siamo meritevoli solamente di pubblico scherno per un cotale abbassamento a tali stupidi principi.
Se la razza umana abbandonasse le stupide congetture basate su aiutare i bisognosi, pensate forse che i mendicanti continuerebbero ad infestare le nostre strade od a trapanarci le orecchie con le loro preghiere di misericordia? Certamente no, quando la fiera della cuccagna chiude i battenti si va a cercar ristoro in altri pascoli.
E non sia mai che imparino a badare a se stessi, a farsi strada nella vita con l'astuzia così argutamente sfruttata durante la sopravvivenza. La scaltrezza è dono raro ed apprezzato per perseguire i propri obiettivi, e chi l'ha esercitata in tal guisa (ma senza dubbio agevolato dalla diffusione delle stolte nozioni di "solidarietà" ed "elemosina") avrebbe sicuramente non molti problemi a perseguire scopi più alti che raccattare qualche monetina dalla vecchietta timorata di Dio appena uscita dalla messa delle 6 del mattino.
Da cosa sorge questo mio intervento odierno? Dalle ripetute lamentele che mi capita sovente sentir declamare sulla presenza di questi geni del male che circolano ed intralciano la nostra routine. Volete che spariscano? Evitate di far sparire le vostri mani nelle tasche o nei portafogli per mettervi in ridicolo di fronte a loro e di fronte alla vostra essenza naturale, liquidateli in fretta e furia e lasciate che siano qualcun altro a mettersi in ridicolo ed a rinnegare la propria natura.

A. G.

domenica 8 settembre 2013

La condanna del mancinismo.

La mano dei rovesciati, la mano sbagliata, la mano impura riservata alla pulizia delle pudenda nella tradizione musulmana.
Ebbene sì, le credenze e superstizioni di stampo religioso-etico persistono a minare il nostro percorso di vita, ma stavolta colpiscono in maniera ancora più profonda il genere umano, condannando coloro che per natura sono predisposti ad utilizzare il lato sinistro del proprio corpo per interagire nella quotidianità. E sento la necessità di dedicare un intervento a quelle persone "speciali" chiamate spregiativamente "mancini" o "sinistri", essendo anch'io uno di costoro.
La condanna è stata incalzante nei tempi antecedenti ai nostri, e per fortuna la Ragione si è diffusa a macchia d'olio preservando molti soggetti dalla rovina; ma essa continua a sopravvivere anche odiernamente, dove talune famiglie bigotte e sprovvedute, convinte della sinistra nomea che aleggia intorno ai mancini, costringono letteralmente i propri pargoli ad utilizzare la mano destra nel momento in cui imparano a manifestare le idee proprie ed altrui attraverso la scrittura. In che modo? Legando la mano sinistra ed impedendone l'uso (consentendomi un cenno autobiografico, rammento che ciò avvenne anche a me, ma più i miei genitori insistevano a farmi usare la destra, più io utilizzavo la sinistra, finché alla fine non vinsi questo primo duello con le malefiche credenze che persistono a far sentire la loro voce). E questo perché? Per due ragioni, a mio parere: per la scarsa diffusione delle persone mancine (come se costituisse un elemento di infamia o di biasimo del quale bisogna disfarsene a tutti i costi) ed ovviamente le sopracitate credenze di derivazione sacra, che etichettano la mano sinistra come "la mano del diavolo", basti pensare ai grandi iconografi del passato che rappresentavano Satana come creatura dotata di 2 mani sinistre, non speculari. E non sia mai che i nostri figli abbiano una caratteristica così dissacrante e dissacratoria!
Chi sono costoro per interferire con la natura del frutto da loro concepito? Chi sono costoro per imporre in tal guisa un'usanza dettata da stupide superstizioni andando a menomare l'indole ed il comportamento della povera vittima? Mi sorge spontaneo un paragone con un'altra condanna, ovverosia quella cui sono sottoposti i neonati che, a 2 mesi dalla loro venuta al mondo, si ritrovano la fronte cosparsa di acqua santa ed iscritti come fedeli di una setta della quale loro non sanno né i principi né i fini.
Come la Natura punisce coloro che badano a codeste sciocchezze? Sconvolgendo la mente della vittima, sconquassandone la vita ed il suo inserimento nel mondo. E lo stesso mondo dove noi andremo ad abitare ci è ostile, realizzando suppellettili e strumenti predisposti ad un uso prevalentemente destrorso (dalle comuni forbici a strumenti musicali come la chitarra); ma le nostre capacità di manipolazione del Creato ci consentono di crearci da soli ciò di cui abbiamo bisogno in ragione della nostra natura e delle nostre interazioni col mondo.
La condanna non si limita alle costrizioni da parte di coloro contro i quali non possiamo ribellarci, ma anche da parte dei lemmi di cui si fa utilizzo nelle consuete conversazioni, dove per alludere ad incidenti automobilistici si parla spesso di sinistri, senza contare l'utilizzo dell'aggettivo sinistro per indicare un che di funesto, di cattivo augurio. Ecco come le usanze penetrano nella mentalità degli esseri umani, discriminando fino a questo punto i loro simili per una normale caratteristica fisico-psichica condannata dalle suddette usanze. Voi che ancora vi ostinate a seguire le mode e le usanze della vostra laida Chiesa, preferite assicurarvi l'entrata in Paradiso (correreste il rischio, poi, di ritrovarvi con un pugno di mosche?) o condannare la vostra creatura ad uno scarso inserimento nel mondo cagionato dal vostro sacro proposito?
Siate fieri di quel che la Natura ci dona ogni giorno, e più questa caratteristica è rara, più siatene fieri.
Le innumerevoli qualità di cui sono dotati i mancini li hanno resi celebri nel bene o nel male quasi più dei destrorsi, basti pensare a personalità quali Napoleone Bonaparte, Wolfgang Amadeus Mozart, Leonardo da Vinci (che nel suo genio sapeva usare entrambe le mani a seconda dell'intento), Franz Kafka, Albert Einstein. E anche per i mancini che della notorietà e della grandezza non sanno che farsene, le grandi doti sono inserite innatamente all'interno della loro anima, per far sì che si concretizzino nella Ratio delle loro azioni, purché sia data loro possibilità di emergere dal vuoto e dalla bonaccia della Psiche. E come si può ancora avere biasimo di questa grande qualità che fa emergere i migliori tra i più grandi della storia del mondo?
Altro vantaggio a favore dei mancini è la loro stessa scarsa diffusione, cosicché in talune discipline od arti i mancini prevalgono sui destrorsi, dallo sport alla pittura, dai videogiochi alla scultura.
Non compromettete l'esistenza delle generazioni successive alle vostre per far sopravvivere le precedenti generazioni, fallaci ed arcaiche. Sono sopravvissute fin troppo ed hanno devastato l'esistenza di troppi esseri umani perché meritino ancora di essere prese in considerazione.

A. G.

domenica 11 agosto 2013

Vana fidei spes.

"La vana speranza della fede", così ho scelto di intitolare l'intervento odierno; come ogni mia riflessione che pubblico su questo muro da imbrattare di parole e pensieri, l'idea sorge da un osservazione su ciò che la vita presenta ogni giorno ai miei occhi ed al mio intelletto.
Mi lascia sempre stupito constatare quanto il Cristianesimo sia radicato in molte culture e linee di pensiero perse nei secoli che ancora splendono sotto il sole. E ciò mi spinge ad affrontare un argomento che da molti può considerarsi spinoso, soggettivo e miscredente, ma giammai un ragionamento od una riflessione potrà mai essere bollata d'infamia in questa maniera, qualunque sia l'argomento, purché la logica sia il fondamento di questo edificio razionale.
Sono sempre stato amante delle "Sacre" Scritture, che possiedono un innegabile fascino per il contesto in cui sono inserito, per i loro protagonisti e per le vicende ivi narrate, e sarebbe sciocco negare che anche da esse siano estrapolabili stili di vita retti e volti al buon (soprav)vivere nel mondo. Ma come dice il nome stesso, sono Scritture (non è la sede idonea per discutere della loro sacralità, termine-chiave per ogni cosa inerente al Cristianesimo, neanche fosse un marchio di fabbrica), racconti tramandati e poi raccolti in questi βιβλία, dunque concepiti dall'intelletto umano che possiede la magnifica capacità di poter concepire una quantità pressoché infinita di concetti, idee e nozioni. E perché non inventarsi un mondo ove tutto il Creato si ritrova sottomesso ad un'altra divinità, spodestando l'ordo naturalis e facendolo usurpare da questa nuova e "benevola" divinità? Idea audace, innovativa quanto volete, ma fin troppo bonista, illusoria e soprattutto contraria alla nostra natura!
Di tutte le correnti che sono affiorate dall'alba dei tempi, quella religiosa possiede la malefica caratteristica di assoggettare le menti dei suoi fedeli, arrivando anche a dettare leggi su come bisogna comportarsi per essere buoni fedeli (vedasi i Dieci Comandamenti); perché l'uomo, creato libero e superiore a tutti gli altri esseri, deve ridursi ad agnello e sostituire la propria libertà con l'assoggettamento ad una "fede"? Perché deve rinunciare alla possibilità di disporre liberamente della propria esistenza facendo decidere ad altri uomini come egli debba vivere? Perché l'uomo non dovrebbe desiderare la donna d'altri, se i suoi Sensi subito trasalgono alla vista di una donna che, per formalità quali matrimonio o fidanzamento, "apparterrebbe" ad altro uomo? Perché l'uomo non dovrebbe uccidere un altro uomo, se quest'ultimo gli ha rivolto un torto tale da destare nell'offeso il Senso di vendetta e di eliminazione nei confronti dell'offendente? Ricordatevi, voi tutti: siate voi i padroni della vostra vita, non permettete a nessuno di dettar regole su come dobbiate vivere, non gettate al vento la libertà innata che la Natura ha donato al genere umano, e per cosa poi? Per ritrovarvi incatenati a delle regole contrarie alla nostra stessa attitudine!
E allora cosa impedisce alla religione di essere sepolta dall'egoismo dell'uomo, e riportare lo stato vigente prima della sua comparsa? I suoi principi volti a preporre il prossimo a noi stessi (biasimabili al massimo per essere diametralmente opposti alla nostra natura) sono accolti dalle persone che, di fronte alle angherie a cui il mondo è naturalmente destinato, cercano un appoggio stabile e che dia una visione positiva a questo inferno quotidiano; e senza riserve è forse il metodo più efficace di fuggire dalla realtà, il modo migliore per nascondervi dietro un dito!
Perché vi rifiutate di vivere le giornate con spirito spietato ed egoista, che sarebbe in grado di temprare la vostra forza d'animo e rendervi via via più imperturbabili di fronte a tutti gli eventi che vi saranno serviti nella mensa dell'esistenza in forma di pietanza avvelenata? Più sarete crudeli nell'affrontare la vita, tanto più immuni sarete al veleno. 
Prendiamo come esempio le persone c.d. pessimiste, che vengono assai biasimate per la loro visione negativa. Suvvia, ragioniamo: come reagirebbe una persona ottimista di fronte ad un determinato evento, e come invece una persona pessimista?
Una persona ottimista cerca di aspettarsi sempre il meglio da un determinato evento; se l'evento si realizza, esso potrà essere o all'altezza delle aspettative ovvero superiore ad esse (in tal caso, che soddisfazione potrà trarsi da un evento che, dentro di sé, ci si aspettava che si sarebbe verificato?), oppure inferiore alle aspettative (in tal caso è indubbia l'amarezza che scaturirà nel povero ottimista).
La prospettiva che si presta al pessimista sarà positivamente inversa: se l'evento che si realizza sarà superiore ovvero all'altezza delle aspettative, il pessimista sarà assai soddisfatto del risultato, molto più di quanto potrebbe mai esserlo l'ottimista; qualora, invece, l'evento sia inferiore alle aspettative, il pessimista accuserà meglio il colpo per aver precedentemente previsto la possibilità che il risultato non sarebbe stato all'altezza delle aspettative.
La bontà può essere utile nell'interazione tra esseri viventi (un medesimo interesse è più facile da raggiungere, quanti più sono ad inseguirlo), ma è maggiormente atta a presentare le terga agli assalti sodomitici della vita, che invero non vi saranno risparmiati per la vostra presunta rettitudine.
E come la religione "compra" i suoi fedeli facendoli abboccare come tanti pesci ad un unico, micidiale amo? Ovvio, con la vita eterna! Sciocca vana aspettativa degli umani, titanica violazione delle leggi naturali, se mai ci sarà concesso di bere da questo agognato elisir (talmente agognato da spingerci a perdere il nostro libero arbitrio e sacrificarlo ad un'essere la cui esistenza e bontà è più che discutibile), sarà grazie ai mezzi donatici dalla Natura ed all'intelletto umano tendente ad infinito, non di certo come premio per una condotta anti-naturale!
Non dimentichiamo, infatti, che noi tutti stiamo morendo, è questione di istanti prima che un cuore pulsante si riduca ad un putrido ammasso organico in decomposizione, siamo tutti inesorabilmente diretti a questa destinazione finale, alla quale potremmo arrivare tra anni così come domani. Ciò non dovrebbe farci aprire gli occhi e spronarci a fare ciò che più desideriamo prima che sia troppo tardi?

A. G.

giovedì 8 agosto 2013

Ode ai libertini

Oggi mi ritrovavo a sfogliare "La Filosofia nel boudoir" scritto dal divino Marchese de Sade, da considerarsi quasi il "libretto d'istruzioni dell'esistenza", ed ogni volta come fosse la prima balza ai miei occhi una degli asserti più profondi e intimidatori della storia della letteratura, che sento la necessità di condividere con Voi. Ecco a voi l'incipit dell'opera, il messaggio dell'Autore al suo pubblico:


AI LIBERTINI

Voluttuosi di ogni età e sesso, dedico quest'opera a voi soli: nutritevi dei suoi principi, favoriranno le vostre passioni! E le passioni, verso le quali certi freddi e piatti moralisti v'incutono terrore, sono in realtà gli unici mezzi che la natura mette a disposizione dell'uomo per raggiungere quanto essa si attende da lui. Obbedite soltanto a queste deliziose passioni! Vi condurranno senza dubbio alla felicità. Donne lascive, la voluttuosa Saint-Ange sia il vostro modello! Secondo il suo esempio disprezzate tutto ciò che è contrario alle leggi divine del piacere che l'avvinsero per tutta la vita. 
Fanciulle rimaste troppo a lungo legate ad assurdi e pericolosi vincoli d'una virtù fantasiosa e di una religione disgustante, imitate l'appassionata Eugénie! Distruggete, calpestate e con la stessa rapidità, tutti i ridicoli precetti che vi hanno inculcato genitori imbecilli!
E voi, amabili dissoluti, voi che fin dalla giovinezza avete come unici freni i vostri stessi desideri e come uniche leggi i vostri stessi capricci, prendete a modello il cinico Dolmancé! Spingetevi agli estremi come lui se, come lui, volete percorrere tutti i sentieri in fiore che la lascivia aprirà al vostro passaggio! Convincetevi, alla sua scuola, che solo ampliando la sfera dei piaceri e delle fantasie, solo sacrificando tutto alla voluttà, quell'infelice individuo conosciuto sotto il nome di uomo, scaraventato suo malgrado in questo triste universo, potrà riuscire a spargere qualche rosa tra le spine della vita.

D. A. F. de Sade [1740 - 1814]

Mi sono permesso di evidenziare i tratti che, della suddetta ode, costituiscono i tratti più salienti del messaggio che l'Autore vuole lasciarci.
Dunque la Natura si aspetta qualcosa da noi, invitandoci a disporre delle passioni da Lei donateci (che altro non sono che i Sensi a cui alludo spesso nei miei precedenti interventi) come unico mezzo per raggiungere questo fantomatico obiettivo. E quale sarebbe questo obiettivo? A mio avviso il nostro semplice obiettivo è sfruttare tutti i doni che la Natura ci ha concesso, dal primo all'ultimo, dalla capacità di manipolare il Creato a nostro vantaggio alla possibilità di estendere il nostro intelletto a dismisura, dispensando le nostre conoscenze come fossero beni superflui dei quali non ci turba il pensiero di condividerli con chicchessia; quale miglior modo, infatti, di dimostrare la nobiltà del proprio aureo stampo se non rendendoci necessari per il prossimo affinché una nozione a noi nota diventi tale anche per colui che, per diversa estensione d'intelletto (magari minata da stupidi preconcetti assunti per luogo comune oppure soffocati dai concetti dettati dall'etica e dalla morale), non hanno la nostra flessibilità nel raggiungere determinati asserti?
Non dobbiamo dimenticare poi che tutti gli esseri viventi sono mossi dal vento della Passione, dei Sensi, dell'Istinto, l'ancestrale richiamo allo stato puro ed incontaminato del Creato. Da questa tempesta sono trascinati Paolo e Francesca nel II cerchio dell'Inferno, ed anziché essere ivi confinata dovrebbe soffiare in tutto il Creato, condurre le nostre esistenze poiché insita nella natura del genere animale al quale noi stessi apparteniamo.
Che altro aggiungere, invece, sul disprezzo di tutto ciò che è contrario alle leggi divine del piacere (rammentiamo che il Marchese, nel suo sfrenato ateismo a cui tutti dovrebbero ispirarsi, conferisce il titolo di divus al suo precedente originario destinatario)? Ritengo che sia l'argomento a me più caro e sul quale sono intervenuto assai tanto che provo a convincermi che il messaggio sia penetrato a sufficienza; per ulteriori dettagli, le mie precedenti dissertazioni forniscono messaggi più profondi e dettagliati, per cui invito alla loro consultazione.
Ma è l'inciso conclusivo che sussume il lascito del Marchese: colui che si sforza a non dedicare neanche un'istante alle scelte dettate dalle Passioni rimarrà isolato come un naufrago su quel granello di sabbia facente parte dell'immenso litorale che la Natura ci ha lasciato; chi vive in tal guisa commetterebbe il medesimo errore di colui che decide di acquistare un'autovettura da corsa per poi non superare mai i 30 km/h.
Seppelliamo le chimeriche spine della condotta etico-morale, lasciamoci cospargere di petali di rosa dai nostri Sensi, e che la vita sia sempre un'occasione da cui trarre vantaggi e giammai rimorsi nel momento della dipartita.

A. G.

mercoledì 7 agosto 2013

Non abbiate pietà!

Oggi tenterò di conciliare il mio persistente desiderio di gettare al di fuori del mio intelletto ciò che più mi aggrada con l'accidia che nella giornata di oggi mi attanaglia più del solito; ma rendiamo grazie ai moti della Ragione che non si usurano e non si stancano mai di muovere i nostri pensieri.
Oggi voglio condividere con voi un estratto del "testo" (non oso definirlo né libro né racconto né romanzo, giacché trattasi di una bozza che vedrà il sole con le stesse probabilità con cui non lo vedrà mai) in fase di stesura già da un anno, mio specchio introspettivo sulle mie considerazioni degli elementi accidentali del Creato. Che pensare dunque de Pietade?

La pietà è la più inutile delle Virtù in cui ci si possa imbattere: in un mondo dove la legge del più forte domina sovrana, non c’è posto per la virtù, ed il solo sperare ed invocare l’applicazione di essa ti fa cadere in un fallo tale da renderti ancor più indegno di riceverla. E che dire in un mondo regolato e sottoposto ai limiti della legge? Coloro che propongono ed approvano le leggi restano comunque esseri umani figli della Natura, coi propri interessi da difendere e proposte sfavorevoli da insabbiare, e quanti più saranno agevolati dalla riforma, tanto maggiore sarà la probabilità che essa venga adottata… anziché la legge del più forte, ivi domina la legge dei più forti.

Difficile essere il giudice di se stessi, ma mi illudo che i concetti siano concepibili come veritieri e, seppur spietati, condotti dalla Ragione.
La pietà in un mondo egoista per natura è come l'agnello nel branco di lupe affamate, è come il pesce che non è riuscito a sfuggire alla marea e si ritrova così a boccheggiare sulla spiaggia e prossimo ormai alla morte; inesorabilmente calpestata, derisa e flagellata, in guisa del Cristo sulla colonna del Praetorium.
A che obiettivo mirate persistendo a fare agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi? Non potete neanche pensare di intromettervi nei pensieri e nelle intenzioni di chi vi trovate di fronte (già l'introspezione è una guerra che di sé è arduo condurre, se proviamo addirittura ad avventurarci nell'estrospezione, o abbiamo molto tempo da perdere o poco cervello da applicare.
Mirate al seggio nel "Regno dei Cieli"? Mirate a sfuggire al ghiaccio di Cocito od alle fiamme di Dite? Per dovervi poi pentire di aver vissuto secondo chimere e non secondo voi stessi?
L'avviso che voglio donarvi oggi è: vivete per voi stessi, dedicate il vostro tempo a ciò che vi rende più soddisfatti e legati alla vostra vita, non sprecate tempo per quelle "comparse" destinate a comparire per poi svanire come un fuoco pirotecnico. Sic et simpliciter, non abbiate pietà.

A. G.

La perfezione del pignolo, secondo la Ragione e secondo i Sensi

Il dizionario di lingua italiana "Treccani" così definisce il termine pignolo: persona eccessivamente pedante e meticolosa.
Cosa potrà mai interessare al sottoscritto di questa locuzione, che costituisce solo uno dei circa 260.000 lemmi che costituiscono la lingua italiana? Ebbene, sono gli eccessivi episodi in cui il sottoscritto viene bollato con questo aggettivo, che mi spingono a fare una riflessione al riguardo!
Si sa che le parole possono essere fuorvianti, a seconda del modo e del contesto in cui vengono pronunciate o scritte. Nel contesto, le parole che di sopra ho evidenziato non mi suggeriscono nulla di positivo.
Tanto per non uscire dal tema, sottolineo che:
Pedante: colui che pone una cura eccessivamente minuziosa ed inutile in qualsiasi cosa faccia;
Meticoloso: soggetto che mostra maniacale precisione nelle sue cose.
Ora, per quanto il termine sia passibile di una vastissima interpretazione da parte degli auditori, colgo una negatività di fondo che, a mio avviso, poco si addice a questo lemma.
Il sommo grado di perfezione di fronte al quale possiamo assistere è il Creato, il sommo prodotto della Natura e delle sue eterne leggi universali. Noi, da creature da Lei privilegiati, nel nostro spirito di adattamento al mondo in cui viviamo dobbiamo esserne altresì all'altezza, cercando di trarre ispirazione da questa perfezione; così articola i suoi pensieri un uomo guidato dalla Ragione, pur senza nulla togliere ai nostri Sensi, eterno motore del nostro esistere e del nostro interagire col Creato ed i suoi prodotti.
Forse che il mio essere pignolo sia un tentativo di avere un semplice assaggio di questa perfezione? Come detto testé, il che è del tutto apprezzabile, ove prevale la Ragione!
Forse che il mio sia solo un modo per avere occasione di essere al centro dell'attenzione? Anche in tale fattispecie si seguirebbe quanto dettato dai Sensi, che sanciscono l'ancestrale egoismo dell'uomo, centro indiscusso del proprio universo.
Persistete dunque a credere che l'aggettivo "pignolo" sia ancora un attributo negativo, oppure ora ne constatate la reale nobiltà di scopo? Mi auguro di averVi condotto nel sentiero opportuno.
Indi per cui, misuriamo le parole prima di sfoggiarne la portata, perché potrebbero rivoltarvisi contro.

A. G.

sabato 3 agosto 2013

Efferata (in)giustizia!

Scrivo questo blog ascoltando "Chi ha paura della notte" della Premiata Forneria Marconi aka PFM, e curiosamente mi sorge il disio di condividere con Voi un pensiero che da un po' mi rimbalza nella testa in ragione degli ultimi avvenimenti di cronaca inerenti ad una, così detta, "riforma della giustizia".
La razza umana ha ricevuto dalla Natura il privilegio e l'onore di avere i mezzi necessari per aver modo di ergersi a despota del resto del Creato, ma la bramosia di esercitare questa tirannia è tale da averci spinti a voler controllare anche i nostri simili. Ecco il principio da cui nascono gli ordinamenti statali che da secoli regolano il vivere dell'uomo.
Odiernamente, la maggior parte dei modelli di Stato regola il proprio vivere nella guisa ideata da Montesquieu nel libro IX de "L'esprit des lois", siano essi separati od uniti sotto un unico designato: un sistema legislativo che aggiorni le regole precedentemente in vigore (in tal modo surclassando la somma legge ancestrale costruita ed indefettibilmente attuata tutt'oggi dalla Natura); un sistema esecutivo che coadiuvi il precedente potere nella produzione delle nuove norme; un sistema giudiziario all'uopo di giudicare e sanzionare i trasgressori delle suddette regole.
Quest'ultimo è forse il potere più pericoloso che mai si potrebbe attribuire a chicchessia. Constaterete anche voi di quanto la locuzione "Giustizia", con la lettera maiuscola, sia paragonabile un delitto di "lesa maestà" nei confronti di Colei che ci ha dato facoltà di brandire questa spada. Quale uomo può ritenersi così superiore da decidere come disporre dell'esistenza di un suo simile, privandolo della libertà od addirittura della vita? La Giustizia non esiste e mai esisterà, esiste la "giustizia" applicata dagli uomini a scapito degli uomini. E poiché nessuno potrà mai applicare la vera Giustizia, è inesorabile che sia l'uomo ad addossarsi questo amaro onere, ma il sistema si trova inesorabilmente contaminato dalla natura umana della nostra specie, guidata dall'egoismo, dai Sensi e dagli interessi più disparati.
Baluardi di questa (in)giustizia che graffia gli spiriti, iscuoia ed isquatra (Canto VI, Inferno, Divina Commedia) sono i cosiddetti "codici" che regolano le pene da affibbiare ai rei, tetri manifesti della soggettività dell'uomo che li ha stilati e posti a regolare e confinare le nostre esistenze.
In base a quali ancestrali dettami si è deciso che il delitto di omicidio debba essere punito "con la reclusione non inferiore ad anni ventuno" (art. 575 c.p.)? Nessuna, l'uomo ha stabilito questo limite. Ecco come la legge umana ha infettato la legge naturale, che sancirebbe invero la piena libertà di reazione al fatto. Qualora tu uccidessi mio figlio, come potrei reagire? Potrei uccidere il tuo primogenito, potrei uccidere te o potrei uccidere tutti i tuoi cari lasciandoti solo a pentirti del torto che mi hai fatto. Ma potrei anche sorvolare sull'accaduto od addirittura ringraziarti del favore, giacché mi ritrovavo con un figlio prodigo e scapestrato che, continuando a vivere, mi avrebbe solo portato disgrazie e dispiaceri. Guardate quanto le ali della nostra libertà sono state tarpate da delitti e circostanze.
In base a quali ancestrali dettami si è deciso che il delitto di rapina debba essere punito "con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da €516 a €2.065" (art. 628 c.p.)? Altro storpiamento delle libere leggi della Natura da parte delle arbitrarie scelte umane.
Per concludere, sulle note di "Chanson egocentrique" di Franco Battiato, abbassiamo la fronte di fronte alla triste verità che rende vana la speranza che un giorno tutto il Creato sia regolato dalla Giustizia, ma allo stesso tempo alziamo lo sguardo affinché constatiamo che il potere che taluni uomini "eletti" esercitano non è consono alla loro (anzi, alla nostra) natura, per cui le strade sono due: o abolire definitivamente l'esercizio della giustizia (invitante opzione che ricondurrebbe l'essere umano al medesimo stato col quale è venuto al mondo) od esercitarla col massimo rigore in modo che sia da monito per l'uomo e da punizione per il reo.

A. G.

mercoledì 31 luglio 2013

La ratio dell'αυτοκτονία.

Nella data odierna riscontra molto scalpore la scelta di un giovane uomo che, abbandonato dalla propria amata, lascia un video su YouTube salutando i propri cari e motivando le ragioni che lo avrebbero condotto, pochi istanti dopo, ad impiccarsi nella propria abitazione.
La morte è fatto di tutti i giorni (trovo d'uopo riportare una delle frasi più pregne e reali del colossal "Il Gladiatore" attribuita all'imperatore Marco Aurelio: La Morte sorride a tutti, un uomo non può far altro che sorriderle di rimando), ma che dire della violenza verso se stessi, che dire dell'αυτοκτονία, che dire di coloro che pongono fine loro stessi alla propria esistenza?
I superficiali ed i moralisti (che tanto dicono ma ragionano su una quantità così scarsa di materia che il loro pensiero è rasente lo zero) lo definiscono come "atto stupido" ovvero "atto codardo"; considero costoro nel livello più infimo della categoria, persone così ottuse che sorge spontaneo chiedersi come siano materialmente riusciti ad articolare 2 parole. Chi siete voi per stabilire la rettitudine o meno di un uomo diverso da voi?
Diametralmente abbiamo coloro che lo definiscono un "atto egoista", il concetto esprime la realtà ma è pregno di una negatività che non si addice all'essenza dell'atto.
Definire l'uomo come "egoista" è tutt'altro che offensivo o biasimevole: l'anteposizione a qualunque interesse di "noi stessi" è insita nella nostra stessa natura, che ci pone al centro del "nostro" mondo, dove ciò che è bene per noi è verità indiscussa ed indiscutibile. Dunque la definizione di "egoismo" quale elemento essenziale della natura del genere umano renderebbe la definizione "atto egoista" priva di significato: che male ci sarebbe a comportarci assecondando la nostra natura?
Ed ecco legittimato il suicidio, ecco come riqualificare questo atto così biasimato da essere oggetto di critica da parte delle bocche più propense a pronunciare idiozie.
Riportiamo il celeberrimo brocardo di Appio Claudio Cieco: Homo faber fortunae suae. L'uomo è legittimato a fare ciò che più gli garba, sia esso suggerito dalla sua volontà, sia esso suggerito dai Sensi, sia esso suggerito dal contesto col quale egli si trova ad interagire. La delusione amorosa è forse la cagione più diffusa che convince un uomo a fare ciò che compete alla bieca Atropo, ma la scelta è propria ed ogni sua volontà è atta a concretizzarsi nell'istante successivo alla formazione della volontà stessa.
Torniamo al tema odierno, specificatamente alla scelta di diffondere la scelta della propria dipartita attraverso il canale di YouTube. Dicevamo che il suicidio è un "atto (naturalmente) egoista"? Nella fattispecie l'egoismo è stato intensificato dalla diffusione pubblica del proposito, così da porre se stesso al centro dell'attenzione, un ultimo "istante di fama". Ma tutto ciò non viola nessuna legge della Natura; gli unici precetti che risulterebbero violati sarebbero le aleatorie, variabili e contraddittorie norme etico-morali di cui non c'è ragione di discutere visto il loro scarso (se non vuoto) significato agli occhi delle leggi naturali.
Chiunque potrebbe obiettare che l'essere umano, in un contesto come può essere quello della delusione amorosa, non sarebbe in grado di disporre lucidamente del proprio agire. Ma dimenticate forse il dono più grande che la Natura ha donato alle nostre menti sovrane in questo ammasso planetario? Dimenticate lasmisurata elasticità della nostra mente, che ci permette di concepire quel che vogliamo (nel limite delle possibilità nobis attribuite dalla Natura) in qualunque contesto ci troviamo ad agire. Nella fattispecie in esame, se l'innamorato sofferente analizzasse introspettivamente il presente in ragione del futuro, le soluzioni sarebbero due: o l'innamorato constata che "chiusa una porta si apre un portone" e prosegue la sua esistenza, o l'innamorato non sa vedere altro che la porta chiusa alle proprie spalle (badate, non saper vedere va inteso come non può vedere oltre, perché l'uomo può concepire tutto ciò che è all'interno delle sue competenze, ciò che non è concepibile è inderogabilmente materia rimessa all'onniscienza della Natura) ed il baratro della distruzione di fronte a sé; in quest'ultimo caso, l'innamorato può perseverare e riuscire a riaprire la porta chiusa, oppure compiere il passo fatale.
Fattispecie estranea a quella descritta poc'anzi è quella del suicidio effettuato in un momento di rabbia o di disperazione, senza effettuare il ragionamento che porta alla sopravvivenza od alla morte: abbiamo qui la comparsa dell'atto dettato dall'Istinto, istante in cui i Sensi prevalgono sulla Ragione. Il meraviglioso istante sporadico di vittoria della mera volontà irrazionale che molto più spesso sarebbe da applicare nei contesti della quotidianità umana.
In chiusura, colgo l'occasione per rimandare al mio precedente intervento "L'ipocrisia del trapasso" ed invitando chicchessia a ravvedere questo atto, il quale non è né stupido né codardo né egoista, ma un atto di mera disposizione della propria vita in ragione dei nostri progetti e del contesto in cui l'atto si consuma.

A. G.

venerdì 28 giugno 2013

Apologia delle nubi!

Le nuvole, i grandi galeoni bianchi dell'aere, appartengono più al carattere umano che alle leggi della Natura.
Quando il dorato Febo lancia i suoi dardi ardenti sulle nostre fronti e sui nostri terreni,chi possiamo invocare se non le metamorfiche nubi,che deviino i raggi infuocati e ci concedano una requie dalla canicola? Talvolta il desiderio è esaudito, ed abbiamo così occasione di trovare così refrigerio grazie agli scudi aerei!
Ma che dire di quando i nembi si accorpano,fanno scudo su tutto il visibile al di sopra dei nostri occhi,carichi di acqua e gonfi di elettricità? Eccoci a criticarli,additarli come fonte di sciagura e cambiamenti di programma!
La Natura non è al servizio degli uomini,è l'uomo che deve rispettare le Sue leggi,non viceversa!
Con tempesta o con il sole, con il freddo o col calore, la giornata è da adattarsi secondo il Suo ordine!

domenica 23 giugno 2013

Ceruleo candore dell'odierna notte.

L'occhio di Selene oggi è più vigile! L'avvento del solstizio ed il lontano affiancamento dell'astro canuto consentono e trasmettono una protezione più palpabile, un palpito di pace nell'aere oscuro.
La nostra Grande Madre ha disposto e plasmato il Creato a nostro vantaggio e beneficio, ciò sia da lodare ed accogliere, non da biasimare ed abbattere.

venerdì 31 maggio 2013

Della rabbia...

La rabbia è l'istinto che prevale.
La rabbia è lo sfogo di possesso e controllo che constatiamo di non poter avere.
La rabbia intimidisce ciò che desideri, ma talvolta ciò sa arrabbiarsi più di te.
Ed arrabbiarsi con chi sa arrabbiarsi più di te, è una mera lotta coi mulini a vento.
Non sto dicendo che non bisogna lasciarsi prendere dalla rabbia. Infuriatevi, scatenate il vostro Es sopito dalle troppe buone maniere etico-morali, e quando tornerete placidi nel vostro Io avrete la serenità sufficiente per sostenere altri eventi fino alla successiva furia.
Ecco come giustificare ogni semplice arrabbiatura senza prendersi ulteriori richiami da chicchessia.

sabato 18 maggio 2013

Aut hortus aut occasus - visione di generale intesa

Che sia il momento di tenebre l'istante adatto per vedere la Luce?
Che sia quel puntino luminoso in mezzo alla pece a guidarci nel nostro casuale percorso?
Pensa al giorno, quando gli astri onnipresenti vengono coperti dal velo solare, che si dipana sino a coprirli tutti, finché sono loro a trionfare dal crepuscolo sino all'alba.
L'alba ed il crepuscolo, i momenti ideali di visione della vita: hai modo di vedere la chiarezza e la sicurezza del Sole, ma altresì compaiono gli astri che, col loro eterno lacrimare, donano quell'istante che ci dà la forza di non temere l'oscurità. 

lunedì 13 maggio 2013

Amare la Natura senza dominarla. Falsa speranza o celata illusione?

Quest'oggi, al telegiornale, ho sentito l'inciso che fa da titolo all'odierno intervento, e continuo a rimuginarci così tanto che era inesorabile che divenisse oggetto della mia odierna dissertazione.
Sono assai stupito, e non nascondo una risata colma di pietà per coloro che ancora vivono in questa sciocca illusione.
Dunque l'essere umano sogna ancora di dominare ciò che ha dato origine alla sua stessa essenza? Sarebbe come se il neonato uscisse dalla culla per poi farci entrare la madre e cullarla inscenando un curioso scambio di ruoli. La Natura è tale perché così Ella ha stabilito, così come ha stabilito i privilegi da assegnare alla razza umana dotandoli di una razionalità superiore e concedendogli ogni mezzo per far sì che essa si ergesse a vetta della gerarchia.
E l'uomo come ripaga questa Madre che lascia crescere i propri figli in piena libertà, lasciandogli quanto ha creato come grande parco giochi da gestire come più sarebbe stato opportuno? Eccolo ergersi a demiurgo iperuranico, che plasma la Terra in maniera talmente abile e disinvolta che lui stesso si sta convincendo di essere lui stesso la fonte di tutto ciò. E sembra dimenticarsi che senza quelle mani, senza quelle idee, senza quella ragione, senza quegli aneliti di superiorità introdotti dalla Natura, avrebbe avuto le medesime idee che possono intasare le cervella di un verme strisciante.
L'uomo gioca sulla sua onnipresenza e sulle sue capacità di giocare col mondo a proprio piacimento, ma forse qualche volta cede il passo a chi di dovere, stimolando all'amore per la Natura.
Amore? La Natura né si ama né si odia, è parte inscindibile del nostro esistere: è la forza fisica che ci attrae al suolo, è l'atomo di ossigeno che ci permette di sopravvivere, è la fibra di legno più pregiata del tavolo su cui consumiamo i nostri pasti, è la piuma più morbida del nostro cuscino.
La Natura non è da amare, è da rivelare agli occhi dei superbi.

venerdì 10 maggio 2013

L'ipocrisia del trapasso

Come diventano tutti degli eroi di fronte ai morti, a prescindere che i deceduti siano amici o meno.
Sono tutti pronti a redarguire il peccato e non il peccatore, tutti pronti a dire "la droga fa male!" di fronte ad un morto per overdose d'eroina. Falsità ed incoerenza ai limiti del sopportabile.
Alla notizia della morte per overdose di una persona (cara o meno, oramai è di moda piangere i morti anche quando gli si avrebbe sputato volentieri in faccia, da vivi) tutti a dire "maledetta eroina, che schifo, non bisogna drogarsi!" ma mai una volta che si trovi una persona ragionevole e coerente che dica "Coccobello, potevi non drogarti se ci tenevi alla pelle!" E invece dilagano il buonismo e l'ipocrisia, a ripetere le solite lagnose litanie in memoria del defunto di cui fino al giorno prima si raccontavano ed inventavano scabrosi e "immorali" aneddoti per darne una brutta impressione a qualunque interlocutore. Ma da morti siamo tutti buonissimi, bellissimi e purissimi (neanche fossimo l'acqua Levissima); a tutti mancherà il nostro sorriso quando rodevano di rabbia ed invidia quando capitava un episodio in grado di far sfuggire un sorriso al futuro de cuius, e quando gioivano dei nostri insuccessi per trarne spunto per i pettegolezzi da raccontare a comare e paesani; a tutti mancherà la nostra voglia di vivere, quando della nostra esistenza non gliene importava poco o niente; a tutti mancherà la nostra presenza nella quotidianità, ma di questa presenza o non si ha alcun ricordo o si ricercava ogni escamotage per evitarla.
Mai nessuno che dica che ha sbagliato, mai nessuno che dica che non è questo il modo di preservare la propria esistenza.
Vorrei tanto che qualcuno, qualora morissi per overdose, sulla mia bara declamasse le seguenti parole:
"Hai voluto la bicicletta? Ed ora insegna agli angeli come pedalare."

giovedì 9 maggio 2013

La normalità della naturalità.

Una distinzione che tutti danno per scontata, ma è ingiusto e contro la nostra stessa natura categorizzare in maniera morale il concetto di normalità.
Cosa è normale? Cosa è anormale? Per quale ragione una cosa è da intendersi assolutamente normale o anormale? A mio parere tutta prevenzione e consuetudine.
Facile dire "è normale che tutti muoiano", ti ringrazio di aver condiviso col mondo l'apice estremo del decorso della vita.
Facile dire "è normale che i cani abbaìno", magari se si trovasse un modo di poter dar loro il dono della parola, d'ora in avanti non ci sarebbero più litigi col vicinato a causa del proprio mastino mordace.
Ma trovatemi qualcuno che dica "è normale uccidere qualcuno", oppure "è normale che le donne siano violentate da un uomo". Non lo troverete mai, e sapete lui cosa vi risponderà? È contro natura!
Da che pulpito si ergerebbe costui a dettare ciò che è naturale e ciò che non lo è? Sciocco, dico io!
Ed oramai nessuno sa più distinguere ciò che è normale da ciò che è naturale.
La normalità è la visione lapalissiana della naturalità, è quanto di più ovviamente naturale possa esistere. Ed è forse un caso che spesso, come intercalare per indicare una qualcosa di ovvio o pseudo-scontato, si è soliti dire "naturale!"?
Ma ecco che si arriva alla deviazione che ha condotto alla rovina questo schema. È intervenuta la consuetudine, le buone maniere, le usanze, e soprattutto i principi etici che hanno mandato agli antipodi questi concetti così strettamente connessi.
Non è corretto dire "è innaturale che 2 uomini possano avere rapporti sessuali", ma sarebbe più giusto (con una infinità di virgolette) dire "è contro morale che 2 uomini possano avere rapporti sessuali", perché fino a prova contraria i rapporti sessuali tra 2 uomini sono ben noti col nome di sodomia; che poi essa sia un atto vietato da determinate culture (da alcune punita con pena capitale) o da determinati credo è tutta un'altra questione che abbandoniamo alla sua essenza aleatoria.
Dobbiamo identificare che tutto ciò che è naturale (ossia fattibile in quanto la nostra Essenza consente, con l'applicazione della nostra volontà ed applicando le leggi della Natura dettate dalla fisica e da tutte le altre scienze, di poterle realizzare) è conseguentemente normale, e cessiamo di identificare la normalità con la consuetudine e con i principi etici, che appartengono ad un sistema di tutt'altra materia.
Detto ciò capirete quanto sia naturale, e quindi normale, uccidere un essere umano (pensate, abbiamo pure l'imbarazzo della scelta di come far sí che la vetusta Atropo recida il filo del designato), capirete quanto sia normale, quindi obbligatoriamente naturale, che un essere umano possa trovare l'appagamento sessuale anche interagendo con esseri viventi (esseri umano od animali che siano) già avviati alla decomposizione (come non citare il noto assassino seriale Henry Lee Lucas, che affermò lui stesso di come gli fosse impossibile avere un rapporto rapporto sessuale con persone che non fossero già decedute), capirete dunque che a dettare il cursus vitæ non sono l'etica, la morale e le consuetudini, bensì la Natura e quanto è stato da Lei concesso a tutti gli esseri viventi (a noi essere umani in primis) di poter porre in essere nel rispetto delle Sue leggi.

kalkulu la spirojn kvazaŭ estis aknoj.

mercoledì 8 maggio 2013

Vista alla vita!

Chi ti dice che ciò che senti è la realtà?
Pure ciò che vedi coi tuoi occhi da santommaso può essere una tua mera rappresentazione di un desiderio, o di un sogno, o di un'aspettativa!
Ti avvelenano, ti distruggono, ti fortificano, ti addolciscono. Per poi farti aprire gli occhi e gettarti nello sconforto.
Ed è allora che capisci cosa vuol dire "respirare", capisci cosa vuol dire "vivere", ma soprattutto ti accorgi di "esistere". 

martedì 7 maggio 2013

In principio era un'idea.

Quanto durerà questo progetto?
Quanto si prolungherà la scarica di idee che muovono le mie dita ed i miei nervi?
Quando mollerò baracca e burattini per tornare a guardare altrove, dove ho sempre guardato, dove tuttora guardo, dove un giorno guarderò e dove ho sempre sognato di guardare?
Stiamo a vedere, nel frattempo gettiamo il primo seme e i primi bocconi di concime! E testiamone la qualità.